Il trattamento della dipendenza da cocaina

Tra le sostanze stupefacenti, l’uso di cocaina ha assunto una presenza via via sempre maggiore negli ultimi decenni, in tutti i territori e fasce sociali.

Il trattamento di questa dipendenza è spesso frustrante sia per il paziente che per il clinico, entrambi confrontati con frequenti ricadute e comportamenti a rischio da parte del paziente, che arriva ad agire in modo distruttivo ed irresponsabile sia nel mondo del lavoro che nelle relazioni affettive pur di placare il suo bisogno di uso della sostanza.

Perché un percorso terapeutico possa avere successo, vanno prese in considerazione una serie di condizioni.

La prima e fondamentale è la motivazione del paziente. Non è possibile avviare nessun percorso psicoterapeutico se l’interessato non è fortemente motivato a risolvere il suo problema. Questo spiega la totale inutilità dei tentativi di alcuni famigliari, comprensibilmente disperati e spaventati, che si recano dal terapeuta sperando che sia lo psicologo stesso a prendere un’iniziativa risolutiva in favore del loro congiunto.

È possibile dare consulenza ai famigliari, allo scopo di individuare insieme possibili strategie per motivare l’interessato ad avviare un percorso psicoterapeutico, ma nessuno può sostituirsi alla persona che ha il problema, e che dovrà in primo piano assumersene la responsabilità.

Questo introduce alla seconda condizione: la collaborazione da parte dei famigliari. In alcuni casi, piuttosto favorevoli, il paziente accetta di mettere i familiari a conoscenza del suo problema, e di coinvolgerli nel controllo degli aspetti economici e dell’uso del tempo. Si tratta infatti di costruire una “rete” che sostenga l’interessato nei momenti inevitabili di ricaduta, e che lo contenga nei tentativi di riprendere l’uso della sostanza, attraverso strategie spesso irresponsabili (piccoli furti, assenze al lavoro, ecc.).

Resta evidente a qualsiasi operatore che queste condizioni, se necessarie, non sono sufficienti per dare qualche prospettiva di successo al tentativo di terapia del paziente cocainomane. La forza del richiamo della sostanza permane per molto tempo, e le ricadute sono sempre possibili. Anche gli psicofarmaci sembrano impotenti a ridurre il “craving”, ovvero il bisogno bramoso ed incontenibile di utilizzare la sostanza, nonostante la consapevolezza razionale della sua distruttività.

Devono quindi intervenire più fattori terapeutici.

Innanzitutto, un percorso psicoterapeutico in grado di aiutare il paziente a comprendere le ragioni che l’hanno spinto ad utilizzare la sostanza, legate alla sua storia e alle esperienze personali.

È spesso possibile rinvenire con chiarezza i problemi che il paziente ha cercato di risolvere utilizzando la sostanza, che in realtà li ha aggravati, e offrire un percorso psicoterapeutico in grado di affrontare e risolvere questi problemi senza l’uso di sostanze. Ad esempio, alcuni pazienti utilizzano la cocaina per tenere sotto controllo aspetti depressivi latenti, o per gestire stati di fobia sociale, o angosce profonde legate a traumi o esperienze infelici.

Ma il richiamo della cocaina può permanere intenso anche durante l’esperienza di consapevolezza delle cause e degli effetti generata dalla psicoterapia. Intervengono infatti fattori di tipo neurobiologico che sostengono il richiamo della sostanza.

La cocaina interviene sul sistema dopaminergico della ricompensa, provocando inoltre un malfunzionamento dei recettori presenti nella corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC), per cui una serie di funzioni connesse con l’attività di quest’area risultano depotenziate. Questa perdita di funzioni di tipo riflessivo e di auto-controllo facilita il ricadere nell’utilizzo di questa stessa sostanza, provocando il persistere del desiderio e l’attività di ricerca compulsiva.

Per ripristinare il corretto funzionamento di quest’area cruciale del cervello, sulla base di ricerche effettuate sui ratti, due medici ricercatori italiani, il dott. Luigi Gallimberti ed il dott. Antonello Bonci, hanno sperimentato una tecnica di intervento denominata rTMS, in grado di ridurre rapidamente il craving e di consentire il recupero delle funzioni rese inefficaci dalla sostanza stessa.

È possibile reperire maggiori informazioni su questa tecnica presso il sito www.disintossicazione.it.

Il paziente sente diminuire gradualmente il bisogno di ricercare la sostanza, di utilizzarla “a qualsiasi costo”, e perde ogni interesse per la sostanza stessa.

Questo nuovo stato rende più efficace l’intervento psicoterapeutico finalizzato a superare le cause dell’iniziale approccio verso la sostanza, e riduce il rischio che la dipendenza dalla cocaina venga sostituita da altre forme di dipendenza, allo scopo di puntellare un senso di sé e del proprio valore carente.

L’integrazione di più forme di intervento, di tipo psicologico e neurofisiologico, consente una maggior possibilità di soluzione del problema della dipendenza da cocaina, e lo sviluppo creativo di nuove aree della personalità, fino ad ora rese inefficaci dal bisogno primario della sostanza.

Dal punto di vista psicoterapeutico, il percorso Psicoanalitico, individuale o di gruppo, è la terapia efficace per il recupero di competenze relazionali ed emotivo-affettive, e lo sviluppo di aspetti della personalità fragili, che necessitano di un ambiente relazionale adeguato alla maturazione di capacità in grado di sostenere il soggetto nelle sfide della sua realtà.

La Psicoterapia Psicoanalitica non si limita ad intervenire sul sintomo, ma prende in carico l’intera personalità del paziente, attraverso un’esperienza relazionale e personale. Il paziente può così maturare nuove soluzioni per i problemi che, nella sua vita, ha cercato di risolvere con la sostanza, e orientarsi nel mondo in modo più soddisfacente.

La capacità di creare stabili e soddisfacenti rapporti affettivi, di sviluppare un genuino interesse per la propria attività lavorativa, o per lo sviluppo di legami e relazioni umane sane e fonte di benessere, vengono potenziate dal progressivo recedere del potere della sostanza sulla mente del paziente, e dal processo di liberazione e crescita personale promosso dal percorso psicoterapeutico.

Non si tratta di un percorso semplice, né poco impegnativo, ma può essere l’unica alternativa ad una vita segnata dal continuo bisogno della sostanza per sentirsi vivi e per affrontare le sfide quotidiane, con la conseguenza di tradire le aspettative delle persone che ci circondano, i propri doveri familiari e professionali, e minare irreparabilmente la propria autostima, resa sempre più precaria dai fallimenti dei tentativi autonomi di affrancarsi dalla dipendenza.

Ci potranno essere momenti di sconforto, ricadute e scoraggiamento, ma a questo sia il terapeuta che il paziente possono essere preparati, e affrontare insieme le inevitabili difficoltà.

Aree di intervento

  • Disturbi d’ansia, fobie, attacchi di panico, sindromi ossessive, disturbi di personalità e stati depressivi
  • Disturbi da stress post-traumatico tramite Psicoterapia EMDR
  • Dipendenza da cocaina
  • Situazioni di crisi e sofferenza legati a diverse fasi della vita: separazione, lutti, pensionamento, ecc.
  • Problemi di coppia
  • Conflittualità familiari
  • Problemi legati all’autostima e a situazioni personali e professionali di particolare stress
  • Problemi sessuali individuali e di coppia in assenza di patologie organiche
  • Disagi psicologici correlati a patologie organiche
  • Disagi nell’area adolescenziale: problematiche relative alla propria identità, al proprio progetto di vita, disagi rispetto al proprio corpo, conflittualità con i genitori
Dr. Guido Pozzo Balbi

Psicologo e Psicoterapeuta a Trezzo sull'Adda
P.I. 03014460160
Iscritto all’Albo Professionale degli Psicologi della regione Lombardia n. 6086 del 07/03/2001
Laureato in Psicologia Clinica e di Comunità, e specializzato presso la Scuola di Psicoterapia COIRAG

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